Greta Van Fleet live, poi arriva Yola e fuggo con lei
Verso la fine dell’anno domini 2019, a trentuno giorni da Natale, e, con la mia letterina ultimata e pronta da spedire cosparsa di polvere di stelle e profumata di caramello al mou mi appresto per andare a veder i Greta Van Fleet in quel del capoluogo lombardo all’Alcatraz.
In un’Italia piegata dal maltempo dove l’Augusta Taurinorum non fa eccezione apporto qualche modifica alla Banana Car per questa nuova avventura, ed ovviamente con al mio fianco femminee compagne di scorribande ad allietare la plumbea giornata.
Attraversando guadi, immobilizzando a mani nude alligatori vegani straight edge arrivo sotto casa di Calamity Marzia Jane; Marzia, già compagna di viaggio in quel degli U.S.A. quest’estate con il suo lazo dorato come Wonder Woman e cappello da cowgirl dal suo attico al seicentossessantaseiesimo piano si fionda dentro il tettuccio della vetur, i suoi splendidi ricci biondi irradiano l’abitacolo spanando parabrezza e lunotto posteriore e accarezzano il mio cuore.
Con guida alla Bullit di Steve McQueen si va a prendere la dolcissima Miky Maionchi, appuntamento vicino ad un bagno chimico rosso che viene svuotato da liquami fumosi e con odorino alla “pulpette di merda” del mitico Diego Abatantuono.
Miky entra in macchina con la sua rosea aura e fascinosa presenza ed il mitico trio è pronto per la conquista della Mediolanum, la città intendo non l’impresa televisiva.
La pioggia imperversa più che mai così mi vedo costretto a premere il pulsante sul pannello comandi con la dicitura Superfuzz Bigmuff; la Banana Car diventa così un futuristico mezzo anfibio, le ruote si girano di novanta gradi, ventole spargiacqua ai lati e turbolover per supersonica velocità.
Ogni pericolo si palesa davanti a noi compreso portare alla luce un bambino dalle parti del vercellese, una bimba di 4,7 chilogrammi a cui daremo il nome Big Star, in più troviamo i caselli abbandonati dai loro custodi e fortunatamente nessun pedaggio verrà pagato dall’ equipaggio della Banana Car, solamente dietro di noi vediamo un’orda di zombie motociclisti assaltare i pranzi al sacco degli impiegati della Società Autostrade.
Dopo il miracolo della vita, l’attacco degli zombie e la pioggia oramai diradata siamo giunti nella città della Madunina, la intravediamo e le porgiamo una preghierina per un prosperoso Natale ricco di leccornie e straripanti regali sotto l’albero.
Si parcheggia la Banana Car a meno di cento metri con testacoda e relativo burnout acquatico annaffiando il dehor di un ristorante macrobiotico.
Per i Greta Van Fleet c’è una coda chilometrica davanti all’ingresso dell’Alcatraz, ci si mette pazientemente in coda e con i bagarini che arrivano da Posillipo nell’attesa mettiamo in scena un’inedita versione di “Natale In Casa Cupiello” con lo spirito di De Filippo che ci guida nelle movenze e nell’adattamento dei dialoghi.
Alla fine del primo atto salutiamo il capo compagnia Ciro Catuonzo ed entriamo nelle mura con il nome della famosa prigione, perquisizione corporale di rito, e, a me non dispiacciono affatto le palpate sul mio bellissimo corpo.
Mi ricompongo e mi ricongiungo con Marzia e Miky e spudorati e spietati conquistiamo l’agognata prima fila a discapito di un giovanissimo pubblico adorante; giovani virgulti sbattuti per terra che mangiano pizza bianca alle olive ed un nugolo di ragazzi che gioca a rubamazzo con le carte napoletane, in che mondo alla deriva viviamo, limonate giovani rocker e fate all’amore, strusciate i vostri corpi, scoprite la dimensione del sesso non giocate a rubamazzo perdincibacco.
Comunque l’Alcatraz si riempie a poco a poco e prima dei Greta Van Fleet da dietro le quinte sputano cinque redneck che sembrano usciti dal locale country dei Blues Brothers, uno di loro indossa cappellaccio da vaccaro e completo color prugna; ovviamente apriranno loro la quadriglia con un classico country rock e per poi al terzo minuto entra una donna giunonica dalla pelle color ebano luccicante e bellissima, capelli neri riccissimi che sembrano una nuvola, ricorda la Mami di “Gone With The Wind”.
Lei si chiama Yola, carisma e bellezza avvolta in lungo vestito bianco da sera per importanti occasioni, già dal primo vocalizzo le lacrime di gioia solcano il mio volto bagnando le basette, il cuore si espande fino alla bocca dello stomaco.
A Yola basta il primo minuto e solamente quaranta minuti di set per sedurre la mia anima.
Il suo soul avviluppato in arrangiamenti country della band alle sue spalle mina anche la scorza del carattere più burbero del pianeta; le sue canzoni cullano e scaldano l’anima come farebbe la più premurosa delle madri; imbraccia anche la chitarra acustica Yola ed il suo sorriso ricco di vita e smagliante indica la retta via a noi che pendiamo dalle sue labbra, musica che cura le cicatrici la sua ammantata d’amore, lei che ha vissuto sulla sua pelle la vera strada fredda ed umida e cattiva, senza soldi, senza un tetto, senza cibo nella natia Inghilterra, ma, con un sogno, un dono e la sua arte, con i pochi averi il trasferimento negli States e lì il fato sposa la causa di Yola, l’incontro con Dan Auberbach, i dischi e il regalo al mondo dell’innata bellezza di questo Black Angel, grazie Yola per esserci nel mondo e regalarci pace e gioia, chiude il set con Spanish Harlem della Queen Aretha Franklin e da lassù scorgo uno strano bagliore e so che è lei, ci manchi quaggiù ma secondo me ti sei reincarnata e questa sera ne ho avuto la prova.
Non mi fermerò per i Greta Van Fleet, devo seguire le good vibrations di Yola .
Lascio le chiavi della Banana Car a Marzia e Miky e seguo Yola, sento che devo intraprendere un viaggio introspettivo nuovo, così salgo sul suo motorhome con la sua band e partiamo alla volta del mondo a cercare di curare anime e cuori feriti, Europa, Asia, Oceania, Africa; mondo arriviamo in missione per conto dell’amore.
A fine tour arriviamo all’Apollo Theater di Harlem.
Storico teatro l’Apollo ed io quest’estate ci sono stato, le pareti dell’epoca si parla degli inizi del novecento puzzano di arte, passione e storia della seducente ed avvolgente black music.
Se passi la mano sulla tappezzeria puoi sentire il sudore funk di James Brown, Prince ti pizzicherà le natiche, Gladys Knight vorrà prepararti una Mud Cake, Quincy Jones ti parlerà dell’Africa mentre Charlie Parker aumenterà la velocità del suo be bop, Richard Pryor ti dirà la sua ultima battuta, Chaka Khan vorrà duettare con te, gli Isley Brothers vorranno vincere i tuoi soldi ai dadi, Little Richard ti metterà eyeliner waterproof, Stevie Wonder starà imparando a suonare un nuovo strumento di sua invenzione, Billie Lady Suol Holiday ti farà commuovere, Dionne Warwick ti racconterà le marachelle della nipotina Withney e poi se metti la mano ancora più dentro la parete entrerai in un sottosopra bellissimo; Aretha Franklin ti porterà in un nuovo universo, io ci sono stato sai; entri in quella porticina rossa di velluto, metti giacca di tweed e ghette di inizio novecento e poi, bè poi ci devi provare tu che leggi queste righe perchè ogni anima vive quell’esperienza in modo unico e personale, provateci se ci riuscite non fermatevi al primo ostacolo.
Ma questa è un’altra ed incredibile storia ragazzi e ragazze.
Stay Tuned from more Rock n Roll.
To be Continued.