Offlaga Disco Pax – 15 anni di “Socialismo tascabile”
È proprio vero che l’Italia anche oggi, dopo quasi 160 anni dalla sua unità su carta, continua a essere divisa in tanti piccoli feudi, in tante piccole realtà che la caratterizzano e la identificano molto di più rispetto alla sua “italianità”. È così che sembra di essere su due pianeti diversi e non nella stessa nazione, seppur con confini territoriali non così estesi, quando confrontiamo ad esempio il Trentino Alto Adige e la Campania, la Toscana e la Puglia, la Sardegna e la Lombardia e più ci addentriamo all’interno delle singole regioni più diventano lampanti ai nostri occhi delle meravigliose singolarità che le fanno diventare una nazione nella nazione.
Fenomeni musicali come quelli dei CCCP e degli Offlaga Disco Pax non potevano che sorgere in Emilia Romagna. Da sempre roccaforte “rossa” di una nazione naturalmente votata verso il “nero” in tutte le sue forme variegate e più o meno nascoste, è sempre stata quasi di più un’ambasciata della Russia, della Cina o di altri paesi smaccatamente social-comunisti piuttosto che una tipica regione italiana, un’ultima fermata della transiberiana prima di cedere del tutto al conformismo occidentale.
Gli Offlaga Disco Pax sbucano dal nulla nel 2004 con una formazione da subito atipica.
Un paroliere parlante anziché cantante, Max Collini, che declama i suoi testi quasi fossero propaganda politica, un musicista a tutto tondo, il compianto Enrico Fontanelli, che gli costruisce sotto dei perfetti tappeti sonori, di elettronica cerebrale e sognante, quasi dream pop, di pregevolissima fattura e Daniele Carretti (oggi in arte “Felpa”) che amalgama il tutto con la sua chitarra. Dei Cocteau Twins con Lenin come cantante. Strano eh?
Il loro meraviglioso esordio “Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione)” del 2005 è il classico disco talmente eccentrico e personale da essere unico e irripetibile. Sin dalla prima traccia “Kappler” si entra nel mondo fatato e idealizzato del social-comunismo emiliano-romagnolo vissuto negli anni 70/80 da Collini, filtrato dai racconti personali dell’autore. Un mondo dove il socialismo, come recita Max in “Robespierre” è come l’universo: in espansione; dove un giovane di seconda elementare emiliano poteva dire, senza se e senza ma, che la rivoluzione francese era stata una cosa giusta senza che la maestra ritenga di dover correggere l’alunno in nessun modo; dove il partito comunista prendeva il 74% e la democrazia cristiana il 6%. Un piccolo mondo “fogazzaro”, Reggio Emilia e provincia, nella quale ci si poteva imbattere in Via Carlo Marx, Via Ho Chi Minh, Via Che Guevara, Via Dolores Ibarruri, Via Stalingrado, Via Maresciallo Tito senza battere ciglio, dove, unico caso nel mondo occidentale, esisteva ed esiste tuttora una città, Cavriago, che ha come sindaco onorario Lenin e a lui dedica la sua piazza principale con tanto di busto onorario, venerato come fosse la Madonna di Civitavecchia con annesse lacrime di sangue, come racconta la band in “Piccola Pietroburgo”. I testi e l’interpretazione di Collini, oltre ad avere la meravigliosa cadenza di Reggio Emilia, sono intrisi contemporaneamente di ragionamenti, umorismo cupo e non, grande simpatia, intelligenza comica e altrettanta amarezza per un mondo che non c’è più. Da brividi a riguardo l’analisi sociale di testi come “Khmer rossa” e “Tatranky”. Nella prima l’autore sottolinea, raccontando come sempre una storia personale, come per la prima volta davanti alla 14enne Ylenia che si comportava come una donna fatta e finita, avesse dubitato del socialismo. Nella seconda Max racconta di come Praga avesse perso e nascosto sotto la polvere ogni residuo della propria orgogliosa storia “rossa” per cedere al conformismo occidentale. Impossibile non rimanere coinvolti emotivamente quando afferma di aver portato a casa trenta confezioni di wafer Tatranky sperando di avere portato via con se un po’ di tempi gloriosi che furono, salvo poi scoprire che Tatranky altro non era che un marchio comprato dalla Danone, DANONE. Come non versare lacrime mentre dapprima gridando e poi quasi sottovoce, attonito, disperato esclama: “Ci hanno davvero preso tutto! Ci hanno preso tutto” mentre gli altri due membri della band continuano il pezzo in una coda strumentale ad effetto più esplicativa di mille parole. Rimane il tempo in questo racconto di mostrarci anche la spocchia radical chic della cultura di sinistra italiana in brani come “Tono metallico standard” dove Collini racconta di come il commesso (si è scoperto fosse il cantante dei Julie’s haircut) di un bellissimo negozio di dischi in centro “se la tira da paura” e quasi non gli rivolge la parola, nonostante fosse un cliente abituale, confondendo il suo vestire ordinario come di un fruitore di musica dozzinale; come se la cultura, l’arte avesse un dress-code da rispettare, esempio di come spesso i primi a essere rigidamente dogmatici siano quelli che lottano tutto il tempo (a parole) contro il conformismo. Come non citare, infine, in questo breviario socialista, l’ermetismo di “Enver”, il surrealismo di “ Cinnamon”, dove Collini si cimenta per la prima volta in un testo non suo, raccontando di come anche le chewing-gum possano essere di destra o di sinistra e l’amore finito, nell’unica canzone d’amore del lotto, quella “De Fonseca” che parla di come “bisogna avere stile anche nei momenti peggiori”. Gli Offlaga Disco Pax realizzeranno dopo questo personalissimo ritratto altri due album: “Bachelite” e “Gioco di società” prima di congedarsi per sempre nel 2014, in contemporanea con la morte di Enrico Fontanelli. Grazie di tutto ragazzi, grazie per averci dato la possibilità di una voce realmente “diversa” in un mondo che aspira ad essere sempre di più tutto uguale.